Componenti strutturali e non strutturali. Gli strutturali a loro volta divisi in polisaccaridi (cellulosa ed emicellulose) e lignina, quelli non strutturali costituiti da piccole molecole che possono essere solubili, e quindi estraibili, in acqua oppure un solvente organico.
Dicendo questo si è detto tutto e niente al tempo stesso, quindi di seguito proveremo a capirci qualcosa di più.
Però riflettendoci bene, ancora in premessa, ancora una volta ci si può domandare come sia possibile che uno dei materiali più basilari al mondo, non solo per tutte le civiltà che lo hanno utilizzato ma anche per la natura stessa che da milioni di anni lo utilizza come “materiale da costruzione” per i vegetali perenni, oltre che come fulcro di interi sistemi biologici che in esso vivono, si riproducono, lo decompongono… volevo dire: è mai possibile che una realtà così fondamentale del nostro mondo possa essere così difficile da comprendere nella sua composizione, ovvero nella sua essenza costitutiva?
Ma torniamo all’argomento del titolo. La composizione del legno cambia anche in modo radicale in funzione di 3 fattori principali:
1) specie vegetale
2) struttura anatomica considerata (es. corteccia, libro/floema, midollo, ecc)
3) età della pianta e della parte di fusto considerata
In ogni caso i criteri generali di composizione restano gli stessi, mentre quello che cambia in funzione due questi tre fattori saranno i rapporti relativi fra le classi di componenti e le specifiche molecole appartenenti a ciascuna di esse.
esistono poi delle vere e proprie procedure che il chimico analitico può decidere di seguire per isolare e quantificare le diverse macro-classi di molecole, per poi magari procedere ad un’ulteriore esame della composizione di ciascuna di esse in classi più piccole, e solo in rari casi terminare con la definizione delle singole specie chimiche costituenti.
La prima cosa da fare sarà in ogni caso quella di eliminare dal campione, o meglio raccogliere da parte per ulteriori approfondimenti, quelle sostanze che possono essere semplicemente estratte con acqua oppure con un solvente organico, attraverso sistemi di estrazione giusto più ottimizzati di un semplice decotto o infusione ovviamente di un legno accuratamente triturato, come ad esempio per mezzo di un estrattore sohlxlet. Parleremo più avanti della caratterizzazione composizionale dei due diversi estratti ottenibii in questo modo.
Quello che a noi ora maggiormente interessa è la porzione di legno doppiamente lavata in questo modo, quella cosiddetta libera da estrattivi.
Se sottoponiamo questo prodotto ad un’idrolisi acida otterremo nuovamente una porzione insolubile ed apparentemente indenne all’attacco acido (la lignina) ed una frazione che risulterà scomparire, idrolizzandosi in zuccheri più semplici e solubili, fino ad grado di monomero, ovvero di monosaccaride. Questa frazione è costituita dalla cosiddetta olocellulosa, un termine in verità piuttosto ambiguo dal momento che comprende indifferentemente tutti i componenti del legno che hanno una natura polisaccaridica. Sull’idrolizzato liquido è possibile effettuare una determinazione analitica di diversi componenti, in primo luogo dei monosaccaridi, che ci potranno dare informazioni in più sulla natura dei polisaccaridi dai quali si sono originati, ma si tratta pur sempre di immaginare la forma di un complesso statuario osservando i cocci dopo un devastante terremoto! Se invece di effettuare l’idrolisi acida avessimo estratto lo stesso legno “lavato” con una soluzione acquosa di una base forte (ad esempio idrossido di sodio) avremmo ottenuto un residuo, costituito prevalentemente da lignina e da cellulosa, e da un estratto acquoso nel quale sarebbero andate a sciogliersi le emicellulose.
Ricordiamo per inciso che con il termine “olocellulosa” si considera l’insieme di cellulosa ed emicellulose, tutti per l’appunto polisaccaridi. Incrociando i dati ottenibili con i due approcci, idrolisi acida ed estrazione basica, si possono stimare i rapporti relativi fra lignina, cellulosa ed emicellulose per quello specifico legno analizzato, oltre che dell’ultima componente finora ancora non citata, che è quella costituita degli elementi inorganici, in primo luogo i cationi calcio, sodio, potassio e magnesio, che vengono quantificati sotto il nome generico di ceneri, facendone spesso un tutt’uno numerico con la lignina.
Ma cosa sono in realtà la lignina, la cellulosa e le emicellulose?
Abbiamo detto che cellulosa ed emicellulose (si noti il plurale) sono polisaccaridi, ovvero carboidrati a lunga o meglio lunghissima catena, insolubili in acqua. In pratica i polisaccaridi sono polimeri il cui monomero è costituito da un monosaccaride, ovvero da uno zucchero semplice.
Mentre la cellulosa è composta da unità tutte uguali di zuccheri semplici (nello specifico glucosio) legate una all’altra in catene simili a quelle dell’amido fuorchè per via di una diversa modalità di legame, ma pur sempre in catena, le emicellulose possono essere composte da qualsiasi unità di zucchero semplice, anche diversi fra loro (i più frequenti sono lo stesso glucosio, xilosio, arabinosio, mannosio, galattosio, rhamnosio) e possono inoltre essere organizzate sotto forma di catene ramificate, e giusto per complicare ulteriormente la situazione, le ramificazioni delle emicellulose possono essere legate chimicamente a molecole che non sono classificate come emicellulose, ad esempio con molecole di tipo fenolico o con la stessa liginina.
Se quindi la cellulosa presenta un’identità ben definita e specifica (come si vede dalla porzione in basso dell’ultima immagine riportata) e le proprietà che essa può impartire al legno è dovuta essenzialmente alla lunghezza della sua catena (ovvero dal suo peso molecolare) ed al modo in cui è distribuita e collocata nelle pareti cellulari e nei tessuti del tronco, le emicellulose nel loro caleidoscopio di possibilità composizionali ed organizzative sono probabilmente il macro-componente maggiormente variabile e possono caratterizzare in modo determinanante le caratteristiche del legno, in primo luogo a seconda del vegetale di partenza.
Fra le emicellulose più diffuse nella maggior parte dei legni, in particolare nel legno duro o midollo o xilema che dir si voglia, vi sono gli xilani, polisaccaridi costituiti da catene lineari di xilosio sulle quali si innestano brevi ramificazioni laterali, a volte costituite anche soltanto da una singola unità, di altri carboidrati quali lo stesso xilosio, L-arabinosio (da cui il nome di arabinoxilani), oppure carboidrati funzionalizzati come acidi deboli, come ad esempio l’acido glucuronico o l’acido galatturonico. Come accennato prima, i carboidrati di queste brevi diramazioni costituiscono una sorta di “ponte” chimico fra componenti del legno classificate tradizionalmente in modo chimicamente diverso, ed in particolare fra emicellulose e lignina, rendendo particolarmente difficile il compito di chi si dovesse apprestare a separarli in prospettiva di un impiego tecnologico differenziato, o anche soltanto per finalità analitiche.
Su scala poco più che molecolare ma non ancora cellulare, ovvero secondo quella che negli ultimi tempi si sta definendo come organizzazione supramolecolare, si nota che è proprio la lignina a tenere insieme le catene più o meno ramificate di emicellulose, favorendone l’organizzazione in fibrille, primo tassello verso la creazione della struttura fibrosa e compatta del legno.
Altre emicellulose strutturali molto diffuse in natura sono i galattani e gli arabinogalattani (polisaccaridi formati da arabinosio e da galattosio, molto diffusi per esempio nel legno di larice), i glucomannani (costituiti da glucosio e mannosio) diffusi anch’essi nelle conifere ma in parte anche nelle angiosperme dicotiledoni: sono utilizzati per le loro proprietà rimpitive e sazianti ed al tempo stesso per la loro in assimilabilità intestinale, in un regime dietetico ipocalorico), gli xiloglucani (costituiti da xilosio e glucosio) ed i glucuronoxilani (costituiti da xilosio ed acido glucuronico, un derivato del glucosio funzionalizzato come acido).
Fra le sostanze estraibili abbiamo invece piccole molecole, di solito ben caratterizzabili chimicamente ed in taluni casi anche maggiormente caratterizzanti della specie botanica considerata, o per lo meno della sua famiglia, spesso molto interessanti in vista dell’impiego del legno per particolari applicazioni o della loro estrazione per un utilizzo come sostanze funzionali di origine naturale. Una distinzione fondamentale fra queste sostanze estraibili, definite nel loro insieme “estrattivo” può essere fatta sulla base della loro solubilità in acqua piuttosto che in una miscela di solventi organici apolari.
Fra le più importanti sostanze estraibili in acqua a partire dai legni si ricordano i polifenoli, termine dentro al quale si racchiudono centinaia di diverse specie chimiche, tutte chi più chi meno funzionalmente interessanti in virtù delle loro note proprietà antiossidanti sull’organismo: dalle più semplici come gli acidi idrossibenzoici (ad es. l’acido salicilico estratto dalla corteccia di salice, progenitore dell’aspirina industriale, ma anche l’acido gallico presente nelle galle), alle catechine (fra le quali alcune in comune con quelle note nel tè verde), fino a molecole che già dal nome richiamano la pianta di origine: quercetina (dalla quercia), taxifolina (dal tasso), miristicina (da Miristica, il genere della noce moscata). Fra i polifenoli più complessi e ad alto peso molecolare, ma comunque sempre solubili in acqua, che si possono estrarre dal legno di moltissime specie vegetali, spiccano in particolare i tannini, dal gusto astringente ed allappante, usatissimi nella concia dei tessuti e per altre applicazioni artigianali ed industriali su larga scala. A seconda delle unità costitutive di base, i tannini possono distinguersi in “idrolizzabili” (come i gallo tannini, dove una molecola di un monosaccaride è legata come estere a diverse unità di acido gallico) o “non idrolizzabili”, che in pratica sono costituiti da numerose unità di catechine legate fra loro in catena.
Fra gli estrattivi solubili in solventi organici, i più comuni sono quelli che entrano a far parte dei cosiddetti oli essenziali, miscele complesse di specie chimiche diverse fra le quali almeno alcune facilmente volatili e molto spesso odorose. Gli oli essenziali più noti estratti da legni sono probabilmente quelli di sandalo e di legno di cedro.
Come gli oli essenziali ottenuti da fiori e da foglie, anche quelli ottenuti da legni sono costituiti da centinaia di specie chimiche diverse, anche se solitamente almeno il grosso del prodotto è formato da un numero molto limitato di componenti più abbondanti, mentre tutti gli altri sono presenti a concentrazioni minori, talvolta infinitesime. L’olio essenziale di canfora, ricavato dalla omonima pianta, è un caso quasi unico in natura in quanto risulta costituito non dalle solite centinaia bensì da un solo componente, chiamato per l’appunto canfora. Le resine delle conifere come ad esempio il pino e l’abete sono un’altra classe di estrattivi da legno solubili in solventi organici, più ricchi in componenti fisse, ovvero non volatili, rispetto agli oli essenziali: per distillazione industriale in corrente di vapore della resina di conifere si può separare e recuperare la sua frazione più volatile, una sorta di olio essenziale da resina, noto come trementina e commercializzato spesso sotto il nome di acquaragia.