L’analisi elettrochimica sfrutta il meccanismo delle reazioni di ossidoriduzione per determinare la concentrazione incognita di una specie. Come è facile immaginare in questa tecnica si fa largo uso di nozioni di elettrochimica che convergono nei fenomeni di ossidoriduzione altrimenti conosciuti come redox.
I principi dell’analisi elettrochimica
In una reazione di ossidoriduzione avviene un trasferimento di elettroni da una molecola, che si ossida, ad un altra molecola che si riduce. La prima molecola, ovvero quella che si ossida, viene definita riducente mentre la seconda molecola, quella che si riduce, è indicata come ossidante.
Una tipica reazione di ossidoriduzione è quella dello ione permanganato con il ferro ferroso (stato di ossidazione +2) che può essere schematizzata nel seguente modo:
MnO4– + 5e– + 8H+ | ↔ | Mn2+ + 4H2O |
5Fe2+ | ↔ | 5 Fe3+ + 5e– |
MnO4– + 5e– + 8H+ + 5Fe2+ | ↔ | Mn2+ + 4H2O + 5Fe3+ + 5e– |
Un altro esempio di reazione ossidoriduttiva può essere condotto in un contenitore che chiameremo semicella contenente una soluzione di nitrato di argento. La forte attività elettrolitica di questa molecola rende possibile la presenza in soluzione di ioni Ag+ e NO3–.
Se immettiamo una sbarra d’argento avviene una ossidoriduzione in quanto l’argento metallico perde un elettrone e si trasforma nel relativo catione. Viceversa l’argento in soluzione acquista un elettrone e si “lega” alla barra di metallo. Le due semireazioni sono le seguenti ed è da notare che sono l’una l’opposto dell’altra:
Ag(s)↔ Ag + e–
Ag + e– ↔ Ag(s)
Un altro punto di vista rispetto a questa reazione è il trasferimento di elettroni da specie a specie. Si viene a creare un potenziale elettrodico, ovvero una differenza di potenziale tra la fase metallica e la soluzione. Schematicamente il potenziale elettrodico può essere definito come:
E = Em – Es
Il valore algebrico, ossia il numero che “quantifica” il potenziale elettrodico, è pari alla misurazione della reazione verso la riduzione.
A questo punto è lecito chiedersi se è possibile misurare il questo potenziale. Fino a questo punto non è possibile farlo. È vero che se inserissimo un voltmetro, ossia uno strumento che misura la differenza di potenziale ai due “capi” di un circuito (nel nostro caso i capi del circuito sarebbero l’interfaccia e la sbarra di metallo) otterremmo di certo un valore. Questa misurazione, tuttavia, introduce una seconda semicella che si viene a creare quando l’elettrodo (metallico) viene immerso in soluzione. Per poter misurare il potenziale elettrodico, di conseguenza, si necessita di una seconda semicella o, in altre, parole, non è possibile misurare il potenziale elettrodico di una singola semicella.
Unendo le due celle con un ponte salino e con un metallo conduttore si ha un passaggio di elettroni e, di conseguenza, una differenza di potenziale ai due capi delle celle elettrochimiche. Se non ci fosse il ponte salino si creerebbe un potenziale di giunzione liquida derivato dal fatto che non tutte le specie ioniche si spostano con una eguale velocità.
Per convenzione i potenziali elettrodici sono calcolati utilizzando un elettrodo standard ad idrogeno (SHE) o più semplicemente elettrodo di riferimento. In questa semicella il pH è pari a 0 mentre la sbarra di metallo è costituita di platino. Un apposito strumento fa gorgogliare idrogeno gassoso all’interno della soluzione.
Tra le due celle elettrochimiche figurano due elementi chiamati catodo ed anodo. Il catodo è l’elettrodo nel quale si assiste alla reazione di riduzione; viceversa l’anodo è l’elettrodo nel quale si assiste all’ossidazione. Possiamo schematizzare questo concetto utilizzando elettrodi di rame ed argento immersi, rispettivamente, in solfato di rame e nitrato di argento. La cella contenente l’elettrodo di rame immerso nel solfato di rame è collegata alla cella contenente l’elettrodo di argento immerso nel nitrato di argento mediante un ponte salino formato da cloruro di potassio. Collegando i due metalli immersi si ha un “movimento” di elettroni dal rame all’argento. Il rame si ossida, pertanto verrà convenzionalmente indicato come anodo, mentre l’argento si riduce e verrà indicato come catodo.
La reazione tra rame metallico ed argento metallico sopra proposta deve obbedire alle leggi fisiche della termodinamica e, pertanto, non può procedere indefinitivamente. Una volta che si è raggiunto un equilibrio tra l’ossidazione del rame e la riduzione dell’argento il flusso di elettroni si interrompe.
Risulta essere possibile misurare il flusso di elettroni o, per meglio dire, la differenza di potenziale che si viene a creare? La misurazione può essere effettuata utilizzando il già citato voltmetro che analizza, istante per istante, la differenza di potenziale tra catodo ed anodo.