Cuocere gli ingredienti in modo separato e poi unirli nel piatto non è la stessa cosa che metterli già insieme durante la cottura. Ed allo stesso modo mescolare insieme gli ingredienti senza cuocerli, come in una sorta di insalata a freddo, da ragione di un gusto del nostro piatto che non ha nulla a che fare con quello che si raggiungerebbe in seguito alla cottura.
Mescolare e cuocere insieme: questo sembra essere il segreto per generare nuovi sapori, quelli che la tradizione e l’arte culinaria hanno saputo concepire negli anni, da un capo all’altro del mondo, attraverso infinite ricette. Una grandissima ovvietà verrebbe da dire, senza alcun particolare stupore, come ci sembrano ovvi un pò tutti i fenomeni a fianco dei quali siamo cresciuti fin da piccoli, almeno fino al momento in cui proviamo a domandarci qualche perché. Perchè perché fra gli ingredienti, con l’energia del calore, capita qualcosa, qualcosa come vedremo in realtà di estremamente complesso, talvolta a malapena decifrabile anche dagli stessi chimici, che porta come risultato finale quello della creazione di sapori e di profumi nuovi, dei quali gli ingredienti iniziali erano essenzialmente privi?
Anche senza essere uno scienziato, ciascuno di noi è ormai consapevole che ogni profumo ed ogni sapore che percepiamo è motivato e trova riscontro in qualche molecola, raramente di un tipo soltanto, nel più dei casi da molte, moltissime, anche centinaia di specie chimiche diverse naturalmente presenti e mescolate fra loro nei prodotti a formare una miscela avente una composizione qualitativa e quantitativa piuttosto definita e caratteristica di quel prodotto. A molte di molecole i nostri recettori nervosi della bocca e soprattutto del naso risultano in qualche modo sensibili, dando la possibilità al cervello di elaborare l’insieme di tutti questi stimoli in realtà elementari in una percezione di gusto e di profumo (in una sola parola: organolettica) molto complessa, che ci consente di riconoscere un cibo dall’altro e di poterlo apprezzare in tutte le sue sfumature di sapore.
Questo vale ovviamente sia per i cibi crudi (ad esempio il sapore di una mela, del latte o della menta), sia per i cibi cotti singolarmente (es. la carne alla griglia o il caffè tostato) che infine per le pietanze composite cotte (ad esempio un arrosto, la pizza, ecc).
I grafici che seguono rappresentano un’analisi gas-cromatografica relativa ai componenti volatili (e quindi almeno potenzialmente responsabili di un contributo all’aroma del prodotto) prima di un caffè crudo, ovvero prima della tostatura, e poi dello stesso caffè in seguito alla tostatura
In un cromatogramma ad ogni picco, in questo caso ad ogni impennata verso l’alto della linea di base, corrisponde in linea di massima un componente chimico della miscela analizzata, e la concentrazione di questo componente è proporzionale all’altezza del picco.
Nel caffè crudo si notano davvero pochi picchi, quindi pochissimi componenti volatili, ed in concentrazione molto bassa. Nel secondo cromatogramma, relativo al caffè tostato, vediamo una miriade di picchi e di altezza tale che essi sono stati in buona parte tagliati per ragioni di spazio: è quindi evidente che in seguito alla tostatura siamo andati a creare qualcosa di ben più complesso del prodotto iniziale, qualcosa che percepito a naso ci farebbe affermare in un solo istante “questo è caffè”.
UNA VARIETA’ DI MOLECOLE
Volendo appena sgrossare l’interrogativo circa l’identità effettiva delle centinaia di molecole diverse che si intravedono, sotto forma dei loro corrispondenti picchi cromatografici, nel secondo grafico riportato, ci troveremmo al cospetto di un elenco di questo tipo, che ci consente per lo meno di identificare delle “classi” di molecole
Sono state identificate 17 classi diverse di sostanze organiche volatili, oltre ad una generica classe “miscellanea”, per un totale di ben 791 diverse specie chimiche volatili ritrovate nell’aroma del caffè: non è detto necessariamente che queste diverse molecole siano state tutte descritte nei dettagli in modo certo ed univoco, ma ammettendo che sia pressappoco così, sarebbe necessario un fascicolo corposo anche solo per riportare nome e/o formula e concentrazione per ciascuna di queste!
Andando al di là dell’esempio finora riportato, a parità di ingredienti iniziali, passando dai cibi crudi a quelli cotti singolarmente a quelli cotti in miscela di ingredienti, si nota nella maggior parte dei casi un crescendo di intensità e di complessità organolettica, a cui corrisponde una crescente complessità nella composizione chimica del corrispondente aroma: è vero che il pomodoro, la mozzarella e la farina di frumento hanno già di per sé stessi un loro gusto gradevole, ma la cottura dei tre, miscelati sapientemente e distesi a formare una pizza, nelle condizioni di cottura più opportune, genera un sapore piuttosto diverso, quello della pizza appunto, sicuramente più complesso e per molti di noi anche più accattivante.
A livello molto generale possiamo fare alcune interessanti considerazioni sulle più importanti classi di molecole responsabili dell’aroma della maggior parte degli alimenti.
Si tratta sempre di molecole organiche, dotate di una certa volatilità e spesso di una certa fugacità. La volatilità è un concetto leggermente diverso dal punto di ebollizione e potrebbe meglio essere descritto come la facilità con la quale una sostanza può liberare anche solo “alcune” delle sue molecole allo stato di vapore, al pari dell’acqua con la quale laviamo il pavimento di casa, che evapora anche a temperatura ambiente, ben al di sotto dei noti 100°C di ebollizione. La volatilità dipende a sua volta sia dal peso molecolare della molecola (ovvero tanto più è leggera una molecola tanto più a parità di fattori essa sarà volatile) sia dalla sua polarità (più una molecola è polare, meno essa sarà volatile, sempre a parità di altre condizioni). La fugacità è invece la capacità di una molecola a spostarsi velocemente, propagandosi nell’aria dal luogo di emissione in questo caso fino alle narici di chi la potrà percepire.
Già sulla base di queste considerazioni molto generali si comprenderà perché il sale da cucina non abbia un particolare odore (non è neppure una sostanza organica!), ma non lo abbia neppure il comune zucchero (il saccarosio è un composto estremamente polare), e neppure l’olio crudo, purchè sia ben depurato (le sue molecole di triglieridi sono troppo pesanti per poter essere volatili in condizioni ordinarie).
Più nel dettaglio però vediamo che fra le molecole dotate di un odore in assoluto più intenso e caratteristico vi sono quelle che corrispondono alle classi delle aldeidi (il gruppo funzionale aldeidico, evidenziato in colore rosso nella formula a lato, un tempo era chiamato anche “osmoforo”, ovvero “portatore di odore”) e dei chetoni, e soprattutto i composti organici volatili contenenti zolfo, alcuni dei quali detengono il record di sostanze maggiormente odorose anche a concentrazioni infinitesimali.
Più caratteristiche degli alimenti cotti e dei loro bouquet aromatici complessi sono invece tutte quelle classi di piccole molecole organiche volatili che vanno sotto il nome di furani, pirazine, piridine, pirroli, tiofeni, ossazoli e tiazoli: esse sono accomunate dal fatto di contenere nella propria struttura molecolare uno o più anelli chiusi di atomi, che inglobano a loro volta fra le loro maglie uno o più “eteroatomi”, ovvero atomi diversi dagli ubiquitari carbonio ed idrogeno, atomi come ossigeno, azoto, solfo, singolarmente o in combinazione tra loro.
Sopra a ciascuno scheletro molecolare, ad esempio sulla struttura di base del furano così come su quella della piraziona o del tiazolo, sono possibili numerose variazioni sul tema a secondo di quali atomi o raggruppamenti di atomi risultano legati alle posizioni libere, negli esempi descritte in modo generico come R1, R2, R3, ecc. Si comprende così come limitando il discorso ai soli composti eterociclici, le specie chimiche che si possono ottenere sono potenzialmente centinaia, e non parliamo di come crescerebbe questo numero se volessimo includere le altre classi di molecole, non eterocicliche, come ad esempio gli esteri, i chetoni e gli alcoli.
Per quanto siano potenzialmente numerosissime, la maggior parte di queste molecole non risultano veramente specifiche per un determinato prodotto.
La maggioranza di loro risulta invece, se non proprio onnipresente, per lo meno “ricorrente” in un certo numero di alimenti tra loro differenti.
Se le molecole che potenzialmente possono rientrare nella composizione degli aromi degli ingredienti e dei cibi finiti sono già moltissime, sull’ordine sicuramente delle migliaia di specie chimiche differenti, pressoché infiniti sono invece gli aromi che combinandosi in vari rapporti specifici esse sono in grado di generare, con il fondamentale intervento discriminatorio del nostro cervello e della sua memoria olfattiva che riconosce facilmente una sorta di “impronta digitale” aromatica, associandola a ciascun alimento conosciuto.
In conclusione, una variazione di gusto implica una variazione di composizione chimica, ed una variazione di composizione chimica, come sappiamo, è in ultima analisi l’effetto di reazioni chimiche.
Ma quali sono le reazioni chimiche che avvengono negli ingredienti alimentari durante la loro cottura e che giustificano la generazione di tutto questo micro-cosmo di molecole odorose?
Se la composizione finale dell’aroma di un alimento, per quanto estremamente complessa, risulta un dato tutto sommato univoco ed alla portata di studio della maggior parte dei chimici dotati di una strumentazione ormai del tutto convenzionale, i meccanismi che stanno alla base della generazione delle stesse molecole durante il processo di cottura dei cibi risultano ben più difficili da spiegare e soprattutto da dimostrare nei loro dettagli da parte di un laboratorio che non abbia in qualche modo scelto di dedicare appositamente la sua attività a questo genere di studi.
Come accade spesso nell’ambito delle scienze naturali, ci troviamo di fronte ad un caso dove risultano più facilmente indagabili (e non di poco) i prodotti che un processo complesso genera, piuttosto che il processo medesimo che ha generato i prodotti.