Vi è mai capitato di seguire una lezione all’università o un seminario o una conferenza stando seduti ad una di quelle comunissime sedie con tavoletta scrittoio?
Di recente ho partecipato ad una conferenza molto interessante, talmente interessante che in molti abbiamo iniziato a prendere degli appunti ed è stato proprio in quel momento che mi sono distratta. Una ragazza seduta alla sedia davanti a me, per prendere appunti appoggiandosi sulla sua tavoletta, ha assunto una posizione davvero scomoda e strana. Mi sono incuriosita e ho continuato ad osservarla e mi sono accorta che era mancina! Non ci avevo mai pensato…che ingiustizia! Se una persona scrive con la mano sinistra, come fa a prendere appunti se la tavoletta è a destra?
Non conoscendo da vicino delle persone mancine non mi sono mai accorta di alcune particolarità, fermando sempre il tutto alla sola considerazione che i mancini scrivono con la sinistra, che per un occidentale che scrive da sinistra a destra questo può risultare particolarmente scomodo, e che mangiare la pizza affianco ad un mancino porta ad uno scontro tra gomiti. Questo episodio, invece, mi ha fatto riflettere e scoprire quanti oggetti risultano tanto comodi e utili per i destrimani quanto inutilizzabili per i mancini. Anche le forbici (almeno le più comuni) sono fatte per essere utilizzate con la mano destra, se uno le utilizza con la mano sinistra al momento del taglio, le lame si allontanano; anche alcuni coltelli sono difficili da utilizzare per i mancini o anche l’apriscatole oppure il cavatappi che costringono i mancini a fare forza sulla mano destra che per loro è la più debole.
È un’ingiustizia!
Bisognerebbe costruire l’equivalente di questi oggetti per i mancini. Già, ma come si può esprimere la relazione tra l’oggetto che più di frequente incontriamo e l’equivalente per mancini? Mi concentro un attimo sul cavatappi. L’elica è destrogira, cioè si avvolge in modo tale che imprimendo un moto rotatorio orario al cavatappi, questa riesce ad entrare nel turacciolo. Dunque per i mancini servirebbe un cavatappi identico, ma con l’elica avvolta nell’altro senso in modo tale che la rotazione efficace sia quella in verso antiorario da poter comodamente effettuare con la mano sinistra. A questo punto bisogna stabilire che relazione c’è tra le due eliche. Sono l’una l’immagine speculare dell’altra!
Se pensiamo alla sedia con la tavoletta probabilmente risulta più semplice cogliere la relazione. Supponiamo di mettere uno specchio al fianco della sedia con la tavoletta a destra: l’immagine che otteniamo è la sedia che sarebbe ottimale per i mancini. Quindi le due sedie, quella per destrimani e quella per mancini, sono l’una l’immagine speculare dell’altra ed inoltre non sono sovrapponibili. Gli oggetti che hanno questa proprietà, per i quali, cioè, può esistere un’immagine speculare non sovrapponibile, sono chirali; dati due oggetti che sono l’uno l’immagine speculare dell’altro e non sono tra loro sovrapponibili si chiamano enantiomeri. Per rendere giustizia ai mancini dovremmo costruire di molti oggetti il corrispondente enantiomero.
Al di là del caso dei mancini il concetto di chiralità è molto importante perché su di esso si basano molte reazioni biochimiche e anche per esempio il riconoscimento degli odori, quindi vale la pena addentrarci un po’ di più nell’argomento.
La parola “chiralità” deriva dal greco e vuol dire mano ed infatti a questo punto abbiamo abbastanza dimestichezza con lo specchio e ci accorgiamo facilmente che le mani sono l’una l’immagine speculare dell’altra e non sono sovrapponibili, quindi sono un esempio perfetto per spiegare il concetto. Guardando le due sedie o i due cavatappi ci accorgiamo che per molti versi i due elementi della coppia sono simili; ciò che principalmente li differenzia è l’organizzazione dello spazio di alcuni elementi costituenti.
In chimica, le strutture che si differenziano “soltanto” per l’orientazione nello spazio degli atomi che le costituiscono si chiamano stereoisomeri e quindi gli enantiomeri sono una classe particolare che rientra nella grande categoria degli stereoisomeri. Altra classe di composti anch’essi in generale stereoisomeri, sono i diastereoisomeri; in questo caso i due composti che hanno diversa organizzazione degli atomi nello spazio, non sono l’uno l’immagine speculare dell’altro.
Data una struttura è molto importante stabilire se è caratteristica di un composto chirale oppure no; quindi diventa fondamentale avere delle indicazioni su cosa andare a guardare nella struttura per fare le nostre valutazioni. In generale, la condizione necessaria affinché un composto sia chirale è che abbia un elemento, sia esso un atomo, un asse o un piano “portatore di chiralità”. In termini tecnici per dire “portatore di chiralità” si dice stereogenico o asimmetrico. Andando con ordine la chiralità più diffusa è sicuramente quella che vede come “portatore di chiralità” un atomo di carbonio. Un carbonio è stereogenico quando è legato a quattro gruppi differenti. Ogni qualvolta una molecola contiene un solo carbonio di questa natura posso ottenere la sua immagine speculare e le due molecole non sono sovrapponibili: la molecola è chirale e le due molecole, l’una l’immagine speculare dell’altra, sono due enantiomeri. Su carta, possiamo trasformare un enantiomero nell’altro invertendo la posizione di due dei quattro sostituenti diversi presenti al carbonio asimmetrico. Le cose cambiano se consideriamo una molecola con due atomi di carbonio stereogenici (o asimmetrici): in questo caso posso invertire due dei sostituenti di entrambi i carboni asimmetrici ed ottenere come prima l’enantiomero corrispondente, oppure posso invertire due dei sostituenti di un solo carbonio “portatore di chiralità” ed in questo caso non ottengo un enantiomero, ma un diastereoisomero. In generale data una molecola con “n” carboni asimmetrici possiede 2 elevato alla “n” stereoisomeri in cui includiamo enantiomeri e diastereoisomeri.In generale bisogna ricordarsi che un atomo è solo uno dei possibili centri di chiralità: esistono molecole che non hanno carboni asimmetrici, però sono chirali. Sicuramente allora, hanno un altro elemento di chiralità che può essere un asse oppure un piano.
Esiste anche una prova sperimentale per avere conferma della chiralità di un composto: un composto è chirale quando è in grado di ruotare il piano della luce polarizzata. Attraverso l’uso del polarimetro è possibile valutare ciò. La luce, viene emessa da una lampada ed a questo punto è polarizzata in tutte le direzioni, passa attraverso un polarizzatore che permette l’uscita solo della luce polarizzata in un piano ben preciso. A questo punto la luce passa attraverso una cella (di lunghezza nota e ben definita) contenente una soluzione della molecola in esame (con concentrazione nota). Se nella molecola sono presenti elementi di chiralità il piano della luce viene ruotato di un certo angolo. Ogni molecola chirale ha sulla sua “carta d’identità” anche un valore di potere ottico specifico; si tratta di un numero ottenuto dal rapporto tra il valore dell’angolo di rotazione del piano della luce polarizzato, la lunghezza della cella in cui è contenuto il campione e la concentrazione dello stesso. Per una data molecola, il valore letto sullo strumento è fortemente dipendente dal numero di centri chirali che la radiazione ha incontrato, quindi dalla concentrazione della soluzione e dallalunghezza della cella. Una molecola fissate le condizioni sperimentali avrà sempre lo stesso valore di potere ottico rotatorio specifico. Vale la pena sottolineare che sebbene il valore di potere ottico rotatorio specifico, come detto, tiene conto della concentrazione della soluzione è buona norma confrontare valori di potere ottico rotatorio solo se effettuati alla stessa concentrazione (o molto simile) poiché è stato dimostrato che il potere ottico rotatorio non ha un andamento lineare al variare della concentrazione. Questo vuol dire che, noto il valore di potere attico rotatorio specifico ad una certa concentrazione per una molecola, non posso calcolare matematicamente il valore che assumerà per un diverso valore di concentrazione.
Ora consideriamo due enantiomeri, quindi due molecole che sono l’una l’immagine speculare dell’altra e li analizziamo al polarimetro, scopriremo che gli angoli di deviazione del piano della luce polarizzata, nei due casi, sono uguali e contrari. Da ciò possiamo estrapolare un altro punto importante e cioè che se abbiamo una miscela in cui gli enantiomeri sono presenti in rapporto di 1/1 allora il piano della luce polarizzata risulterà non deviato. Possiamo immaginare che ogni qualvolta la luce incontri una molecola, il suo piano di polarizzazione venga deviato, e quando incontra una molecola dell’enantiomero venga deviato di un angolo uguale e contrario ritornando così a zero. Una miscela in cui sono presenti in rapporto 1/1 entrambi gli enantiomeri di un molecola parliamo di una miscela racemica. Possiamo trovarci dinanzi ad un caso particolare; un caso in cui abbiamo una soluzione di una molecola in cui sono presenti carboni asimmetrici eppure il piano della luce polarizzata non viene deviato: niente paura, se ci pensiamo bene in una molecola può essere racchiuso lo stesso discorso fatto per la miscela racemica. Sto parlando dei composti chiamati meso; in questi composti si ha una configurazione di simmetria particolare: sono presenti ad esempio due carboni asimmetrici che possiamo immaginare come l’uno l’enantiomero dell’altro; la luce polarizzata verrà deviata di un certo angolo e subito dopo di un angolo uguale e contrario esattamente come abbiamo immaginato nel caso della miscela racemica. In quest’ultimo caso si ha “l’annullamento” dell’angolo di deviazione della luce dopo ogni molecola.
Ma cerchiamo di andare ancora un po’ avanti e chiediamoci se questi due enantiomeri oltre che per la rotazione del piano della luce polarizzata si differenziano per qualcos’altro.
Ritorniamo per un attimo al macroscopico e parliamo di guanti. Osserviamo un paio di guanti e possiamo subito notare come tutto sommato siano abbastanza simili tra loro. Sono realizzati con gli stessi materiali, hanno stessi colori e stessa dimensione ed entrambi hanno la stessa funzione e cioè quella di proteggere da un agente esterno le nostre mani.
Abbiamo già detto che le mani sono chirali, dunque anche i guanti, se consideriamo quelli che sagomano perfettamente le mani, lo sono. Questo significa che possiamo individuare il guanto destro e il guanto sinistro prima di infilarli alle mani corrispondenti e ancora questo significa che se proviamo ad invertire le posizioni noteremo qualcosa di strano. In alcuni casi, dipende dal materiale di cui è fatto il guanto, non sarà possibile infilare il guanto destro alla mano sinistra e viceversa.
Questa semplice considerazione ha dei risvolti davvero molto importanti nel campo microscopico e di rimbalzo nuovamente nel mondo macroscopico: gli enantiomeri reagiscono esattamente allo stesso modo, hanno stesse proprietà fisiche e chimiche tranne che in un caso. Si differenziano quando reagiscono con un’altra molecola chirale (nel nostro caso la mano) o in generale in un ambiente chirale. Detta così può sembrare davvero un dettaglio, una di quelle cose che uno dice proprio per essere precisi, ma in realtà ci renderemo subito conto che non si tratta di un dettaglio, ma di una differenza sostanziale.
Scommetto che il naso della maggior parte di noi riesce a distinguere facilmente l’odore della menta dall’odore del cumino: riuscireste a credere che le due molecole responsabili dei diversi odori sono tra di loro enantiomeri? Già, sono due molecole, rispettivamente l’enantiomero R e l’enantiomero S del carvone, che contengono un carbonio asimmetrico e scambiando la posizione di due dei suoi sostituenti trasformiamo una molecola nell’altra, l’odore di menta nell’odore di cumino.
Ma come fa il nostro naso a cogliere una differenza così particolare tra due molecole da ricondurle ad odori così diversi? Per sentire un odore è necessario che avvenga un riconoscimento molecolare tra il composto “portatore dell’odore” e una molecola che evidentemente è presente nel nostro naso (molecola recettore). La caratteristica di questo recettore è che esso stesso è chirale e dunque interagisce in modo diverso con i due enantiomeri e da qui l’associazione ad odori differenti.
Quello che succede nel nostro naso non è molto diverso da quello che succede in molte altre reazioni biochimiche.
Molte trasformazioni che avvengono all’interno del nostro organismo sono mediate da particolari proteine dette enzimi che hanno il compito di favorire certe reazioni agendo da catalizzatori. Molti di questi enzimi grazie alla particolare forma che acquisiscono in certe condizioni sono in grado di discriminare un enantiomero rispetto ad un altro. Questo ha grandi risvolti, per esempio in campo farmaceutico. Un caso molto noto è quello del Talidomide. Si tratta di un farmaco venduto prevalentemente negli anni cinquanta in molti paesi sotto diversi nomi commerciali; il farmaco risultava molto più efficace rispetto agli altri presenti sul mercato e agiva come sedativo e antinausea. Era rivolto, dunque, tra gli altri, alle donne in gravidanza. Nel 1961 fu ritirato dal commercio poiché ci si accorse che le donne che in gravidanza avevano fatto uso di tale farmaco mettevano al mondo bambini con gravi problematiche congenite. Andando al di là della polemica sulla sicurezza dei farmaci, quello che in questa sede più ci interessa sono gli studi successivi che hanno evidenziato come un enantiomero della molecola può essere utilizzato senza rischi anche dalle donne incinta, mentre l’altro enantiomero ha un effetto teratogenico.
Un esempio questo che più di ogni altro mette in evidenza l’importanza della chiralità e dei suoi effetti: molecole che si presentano come l’una l’immagine speculare dell’altra riescono ad avere effetti enormemente ed in questo caso drammaticamente diversi.
A questo punto potremmo pensare che il chimico che deve sintetizzare un composto chirale possa mettere a punto una sintesi che consente la preparazione di entrambi gli enantiomeri e alla fine separare i due. Questo tipo di approccio presenta due grosse difficoltà: una di natura chimica, l’altra di natura economica.
Separare due enantiomeri, non è cosa semplice: si tratta di due molecole che hanno stesse proprietà fisiche e chimiche e dunque non possono essere separate mediante una distillazione o una cristallizzazione; inoltre se si preparano due enantiomeri e soltanto uno è il prodotto desiderato vuol dire che l’altro sarà buttato il che significa grosso spreco di reattivi, solventi, quindi soldi. Allo stesso tempo è bene sapere che esistono tecniche che consentono la separazione degli enantiomeri; ciò che accomuna tutte le tecniche è l’interazione tra gli enantiomeri da separare ed un’altra specie chirale sfruttando così la caratteristica che differenzia gli enantiomeri. Può essere, per esempio effettuata una cromatografia con fase fissa chirale, oppure può essere effettuata una vera reazione tra i due enantiomeri e un’altra sostanza chirale e poi separarli con tecniche comuni.
Da questa considerazione nasce la necessità di mettere a punto una serie di metodologie che consentano la sintesi selettiva di uno solo dei possibili enantiomeri, sorge così la sintesi asimmetrica.